Marco Olivieri

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Il mondo di Sorrentino

Visionario, nevrotico, travolgente e privo di misure. Prendere o lasciare. Il cinema di Paolo Sorrentino, e “Youth – La giovinezza” (appena presentato alla 68esima edizione del Festival di Cannes) ne conferma pregi e difetti, non lascia indifferenti e si muove pericolosamente, ma a tratti anche in modo sublime e intenso, tra la superficie e la profondità, la furbizia e l’incanto artistico, la verbosità in fase di scrittura e meravigliose intuizioni soprattutto di regia.

L’autore di “L’uomo in più”, “Le conseguenze dell’amore”, “L’amico di famiglia”, “Il Divo”, “This Must Be The Place” e “La grande bellezza” (Oscar 2014 come miglior film staniero”) è dotato di un linguaggio cinematografico potente e ammaliante, in stretta correlazione con l’inconscio e i turbamenti del vivere. Anche in “Youth”, in una dimensione produttiva europea e con la fotografia intensa di Luca Bigazzi, i movimenti della macchina da presa continui e spiazzanti sono al servizio di frammenti visivi che colgono pezzi di realtà inattesi, esplorando la struggente banalità dell’esistenza e talvolta rimanendo impigliati in questa banalità.

Il cast – dall’immenso Michael Caine (Fred Ballinger) a Harvey Keitel (Mick Boyle), Rachel Weisz (Lena Ballinger), Paul Dano (Jimmy Tree) e Jane Fonda (Brenda Morel) – si adegua al mondo creativo di Sorrentino. Un mondo dove tutto si mescola e si confonde: il kitsch e la vera bellezza del cinema, il rischio della maniera e i momenti artistici di notevole forza espressiva. Il risultato è un bel film, tra alti e bassi, una sensazione di incompiutezza in fase di sceneggiatura (specie nel confronto tra i personaggi e in alcune soluzioni narrative), alcune cadute e lampi di autentica forza suggestiva, in una dimensione onirica e personale.

Il film non ha mancato di suscitare reazioni antitetiche. Tra i più critici, Goffredo Fofi (http://www.internazionale.it/opinione/goffredo-fofi/2015/05/27/youth-sorrentino-recensione): “Farcito di massime nel genere Baci Perugina (eh sì, la vita è fatta a scale), Youth – La giovinezza è uno dei film più strambi ma anche più lagnosi visti da tempo. (…) Due i suoi modelli, tutti due altissimi, troppo alti per lui, La montagna incantata e , e certamente non i film sulla vecchiaia di Ingmar Bergman (Il posto delle fragole) o di Akira Kurosawa o perfino (sarebbe stato divertente) di Howard Hawks. Uno solo il modello italiano “giovane” e post-tutto: l’immenso Baricco, che però Sorrentino batte ai punti. La vecchiaia è un pretesto occasionale (è riuscito a narrarla con straniante efficacia Matteo Garrone nell’episodio delle due sorelle del Racconto dei racconti) ed è dominata dal conformismo biologico e mentale nel 999 per mille dei casi. I vecchi di Sorrentino sono marionette di ricchi che si piangono addosso, noiosi come la morte, e che sparano sentenze a raffica, l’una più consunta dell’altra”.

Tuttavia, chi scrive si sente più vicino all’analisi di Christian Raimo (http://www.minimaetmoralia.it/wp/sorrentone/):  “Tutti i film di Paolo Sorrentino sono metafilmici, citazionisti, omaggi talmente manifesti a un immaginario cinematografico, musicale, pittorico, da essere pieni di sosia e di cloni; e anche questo non fa eccezione. Anzi potremmo dire che comincia a citare se stesso. Tutti i film di Sorrentino sono delle rimodulazioni di un’idea di cinema in cui l’immagine sullo schermo è sempre il tentativo di ritrovare un’immagine primaria – come se tutti i personaggi andassero in ricerca della loro personale Rosebud (del resto i protagonisti per certi versi non assomigliano tutti a Charles Kane di Quarto potere?) – e anche questo non fa eccezione. (…) a momenti Youth come tutti i film di Sorrentino ci sembra volgare, cafonal o pubblicitario, in momenti – più rari – ci sembra potente. (…) Fred dice a un certo punto: «Gli intellettuali non hanno gusto, e io ho fatto tutto quello che si poteva per non diventare un intellettuale»; e questo sembra essere il manifesto criptato di Sorrentino. Che nella non ricerca di gusto, nel calcare la mano su ogni dettaglio, nel ritenere che ogni scena debba essere una scena madre, nell’allungare l’inquadratura, nel prolungare la colonna sonora per riempire ogni possibile spazio, nel mettere un punto alla fine di ogni frase pronunciata, eccetera… delinea un suo stile trasparente. Cosa sembra che ci voglia raccontare? La tragedia inguaribile dello scorrere del tempo”.

In questo ambito, quando la star di Hollywood interpretata da Paul Dano afferma di voler raccontare il desiderio, “perché è quello che ci tiene sempre vivi”, si entra in una dimensione maggiore di autenticità artistica, non sempre però preparata al meglio sul piano narrativo e nelle sfumature dei personaggi. Una dimensione, quella del desiderio, in opposizione al racconto dell’orrore, che meritava un approfondimento.

Nel complesso, il regista fa cogliere agli spettatori frammenti di un mondo contraddittorio ma denso di fascino, tra Maradona, il pop, Miss Universo e il ribaltamento di presunte verità, eros e thanatos, la sapienza del corpo e il rapporto dialettico tra immagine e sonorità (da David Lang a Mark Kozelek e a molta altra musica, senza dimenticare un concerto finale che impone allo spettatore di rimanere per una volta seduto durante i titoli di coda). Su tutto, l’intensità esistenziale racchiusa nel volto dolorosamente non allineato di Michael Caine.

Ẻ vero, sono tanti i modelli cinematografici e letterari di “Youth”, così come risultano molteplici gli spunti e le suggestioni, e Sorrentino si mantiene lontano dalle vette artistiche e filosofiche di Federico Fellini, più volte citato. Tuttavia, qualcosa rimane, tra le pieghe di una storia universale, e lavora nel profondo, in mezzo a qualche trovata discutibile e a folgoranti intuizioni. L’autenticità della sofferenza è incarnata dal volto di una donna non più attraversato da alcuna memoria.

 

Marco Olivieri